Se per te il drop è la vestibilità di un abito, ho una brutta notizia: non sei più giovanissim*.
Se invece ami le sneaker, la moda streetwear o non hai tutti i capelli bianchi, probabilmente conoscerai già il meccanismo del drop, anglicismo che definisce la messa in vendita di prodotti in edizione limitata e in scarsa quantità in solo pochi negozi selezionati o tramite un sito web, spesso con breve o alcun anticipo sui social network. Scarsità programmata e volontaria.
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I beni distribuiti durante un drop acquisiscono uno status più elevato rispetto a quelli acquistati in modo tradizionale. La drop culture ha una storia relativamente moderna, che iniziò con le Jordan di Nike negli anni ’80 e fu poi fatta propria dagli skaters degli anni ’90 fino allo streetwear dei giorni nostri. Brand come Supreme hanno elevato il mezzo a vera e propria arte e, in alcuni casi, rappresenta l’unico canale di vendita.
Questa strategia ha contagiato tutti: dal food al DTC, coinvolgendo anche le maison del lusso più rinomate. I drop delle capsule The North Face x Gucci, o quelle di Louis Vuitton e Burberry dimostrano come sia possibile aumentare l’esclusività dei loro prodotti più di quanto non facciano già blasone ed investimenti pubblicitari. La stessa Ikea ne ha lanciato uno in collaborazione col designer Virgil Abloh. E pure Lidl, con le sue chiacchieratissime sneaker.
Il web ha glorificato questa pratica, rendendo il processo ancora più chirurgico e controllabile. Con la possibilità di acquistare e vendere articoli di seconda mano online, è emerso anche un fiorente mercato di rivendita. La drop culture non è solo status, ma anche opportunità di business. Con StockX le sneakers vengono equiparate a titoli azionari. E la Generazione Z è quella che ama maggiormente questo nuovo modo di fare business.
Ma Supreme e lo streetwear son stati solo l’inizio. Il futuro del drop si chiama MSCHF.
Con loro scarsità, hype ed esclusività si ergono ai massimi livelli, quasi metafisici. (ndr: MSCHF sta per mischief, birichino)
Non hanno un vero e proprio prodotto, e non gestiscono un ecommerce. Forse sono una agency o come amano definirsi loro una ideas factory, ma qualsiasi appellativo o tentativo di catalogazione sarebbe vano. A cadenza quasi settimanale il collettivo originario di Brooklyn condivide i suoi stunt: un’app di trading ispirata all’oroscopo, un silenziatore per Amazon Alexa, una campagna anti-brand su TikTok, una carta di credito multi-player, una newsletter per boomer e altro ancora.
Col suo design brutalist, MSCHF trae ispirazione dalla cultura pop, da quella street e dalla nostalgia per le cose e i costumi del recente passato. Non chiamatela startup però, e non paragonatela ai marchi luxury che si rincorrono e che rincorrono i trend: fare soldi non è la loro ispirazione primaria e le tendenze le lanciano, anziché inseguirle.
“Cerchiamo di creare qualcosa che nessuno al mondo può ancora definire” hanno affermato in un’intervista.
Come le Jesus Shoes, Nike customizzate con al loro interno l’acqua del fiume Giordano benedetta da un sacerdote di New York, o MSCHF X, la t-shirt collaborativa contenente il logo di dieci marchi diversi. Entrambi sold out in poche ore.
Matteo 14:25 — Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. Got it?
Come abbiamo imparato sulla nostra pelle, magari cercando di accaparrarci l’ultimo paio di Yeezy sullo store dell’Adidas, i drop rendono lo shopping inaccessibile per definizione determinando una maggiore soddisfazione per gli acquirenti ed un crescente individualismo.
Sappiamo che la Generazione Z fa spesso acquisti d’impulso e ciò che li spinge è la paura di perdere un determinato prodotto (FOMO).
Gianluca Diegoli approfondisce:
È suggestivo che la generazione che per la prima volta nella storia ha a disposizione, a portata letteralmente di mano (sullo smartphone), qualsiasi prodotto venga posto in vendita ovunque nel mondo senza dover sopportare una particolare friction, né nel trovare informazioni né nel procurarselo, sia quella che è più affascinata dalla scarsità. Innamorarsi per nemesi di tutto ciò che è irraggiungibile, costoso, introvabile sembra essere la loro ossessione.
Ma per una generazione che ha tempi di attenzione notoriamente brevi, la soluzione del drop rischia già di diventare obsoleta, ed anche velocemente. Ed è qui che entrano in gioco MSCHF con i loro divertissement digitali.
Il marchio conquista ciclicamente i suoi fan combinando l’imprevedibilità e la manipolazione della scarsità dei prodotti con irriverenza, umorismo e creatività. Sembrano poco attivi sui social (questo è il loro scarnissimo canale Instagram) ma è solo apparenza: l’utilizzo esclusivo di influencer marketing abbinato al magistrale word-of-mouth scatenato dalla viralità delle loro trovate rendono ogni lancio un successo planetario. “Se riusciamo a far diventare la gente fan del nostro brand e non del prodotto, possiamo creare qualsiasi cosa vogliamo”. La loro filosofia è il sogno di qualsiasi business.
MSCHF dimostra che avere successo non è più avere un ottimo prodotto o un folto séguito sui social media. In effetti, molti dei prodotti di MSCHF sono cose che, se distribuite in serie, non avrebbero alcun fascino. Ciò che MSCHF offre, tuttavia, è il loro valore sociale ed esperenziale. E per una generazione che rifiuta sempre più il materialismo ed il capitalismo, è tutto.
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