🍕 Il futuro del food in Italia

Ci risiamo,

o meglio, ci ritroviamo, nella temuta seconda ondata. Non sono un virologo, né un politico quindi terrò per me qualsiasi tipo di considerazione personale.

Ma c’è un aspetto che non posso non analizzare con gli occhi di un appassionato di marketing e business: le difficoltà alle quali le tante piccole realtà imprenditoriali italiane devono far fronte in questo momento storico.

Tra le più colpite, quelle che operano nel settore della ristorazione.

Entro la fine dell’anno quasi 90.000 attività rischieranno di chiudere.Se vogliamo trovare un lato positivo in questa situazione è la spinta che la pandemia sta dando a molti ristoratori nostrani a reinventare il proprio business e rivedere il modo in cui offrono, organizzano e promuovono i propri servizi.

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A questo punto è quasi un cliché affermare che il Covid-19 abbia dato una grossa spinta all’innovazione digitale. Questo è evidente se guardiamo all’e-commerce, dove il processo di trasformazione e diffusione è cresciuto in modo esponenziale.Dall’altra però, nonostante le inevitabili criticità legate al tessuto socio-economico italiano e gli ostacoli burocratici e normativi, molte altre piccole imprese (spesso a conduzione familiare) sono riuscite a sperimentare nuovi metodi di promozione e gestione del business, anche grazie ai mezzi forniti dal mondo digital.

Per esempio, il settore del food delivery sta attraversando un periodo di profondo dinamismo generato dalle nuove abitudini di consumo dettate dalle restrizioni nazionali e dalle crescenti opportunità offerte dal servizio in termini di copertura territoriale, varietà di ristoranti ed evoluzione delle cucine disponibili.

Secondo le stime di Just Eat (proiezione fine 2019), il trend era già costantemente positivo. Oggi il digitale rappresenta circa il 18% dell’intero settore del domicilio — che nel suo complesso vale circa 3,2 miliardi di euro, con un incremento pari a 7 punti percentuali rispetto al 2018 e con un potenziale ancora molto consistente di espansione. [Sono curioso di leggere i dati dall’inizio del 2020].

Il food delivery quindi è in fermento, e mosse come quella di Just Eat di assumere direttamente i propri rider conferma l’importanza anche di queste figure nel tessuto economico italiano.

La naturale evoluzione del delivery poi sono le dark / pop up kitchen. Al di là di lievi differenze, il concept è piuttosto semplice: con il termine di dark kitchen si intendono le cucine senza ristorante. Sono attività che consegnano piatti pronti solamente a domicilio. Non hanno tavoli dove potersi sedere e mangiare, i clienti non possono passare a ritirare l’ordine e non c’è uno chef che cucina a domicilio.

I lati positivi di una dark kitchen sono evidenti: partendo dalla riduzione al minimo delle spese superflue, degli spazi in cucina e degli arredi dei locali e conseguente abbattimento delle spese per l’affitto del locale, l’ottimizzazione del personale e dei suoi costi fino alla possibilità di studiare e rimodulare in corso d’opera il proprio menu. Alcuni ristoratori stanno compiendo la transizione verso questo tipo di struttura.

Startup come Foorban e KTCHN Lab o Deliveristo (che invece sta all’inizio della filiera approvvigionando proprio le dark kitchen) sono nate con questa filosofia. E anche i big del delivery iniziano a internalizzare questo processo: Glovo ha aperto la sua prima cook-room a Milano.

Alle dark si affiancano poi le “cloud” kitchen che sono un sistema attraverso cui il ristoratore, sfruttando una piattaforma online, può controllare da remoto una grande cucina organizzata che elabora l’offerta gastronomica di tutti i brand sotto la sua gestione. Una volta pronte, le pietanze vengono recapitate a domicilio come prodotti di marchi differenti, quindi gli imprenditori possono rivolgersi a vari target per consolidare la propria presenza sul mercato. Le possiamo considerare come dei co-working culinari. Un esempio di questi è la milanese Kuiri.

Il Sole24Ore, nel Settembre 2019, scrivevaL’esplosione del fenomeno delle cucine “chiuse” e pensate solo per la produzione di piatti per la consegna a domicilio modificherà gli equilibri del settore food e ridefinirà il ruolo degli operatori di questo settore? C’è una ragione ben precisa che spiega perché le cosiddette “dark kitchen” sono accreditate dagli addetti ai lavori di potenzialità di crescita esplosive e tale ragione è l’incremento esponenziale delle consegne di piatti pronti a domicilio, una tendenza a cui ha soprattutto contribuito il popolo dei millennial. Una tipologia di clientela che non esita a ordinare cibo pronto anche due o tre volte a settimana e che si aspetta un servizio veloce, ampia scelta e un buon rapporto qualità-prezzo.

Crescendo in modo sostanziale la domanda a domicilio, ecco che anche ristoranti affermati e ben organizzati hanno spesso faticato a far fronte agli ordini da consegnare ai rider delle varie Deliveroo, JustEat, Glovo e Uber Eats. Da qui la spinta verso un nuovo modello di cucina, votata da una parte a preservare la qualità dell’esperienza di consumo all’interno del locale e dall’altra a non compromettere lo sviluppo di new business, cavalcando l’opportunità di riconfigurare i propri spazi o di affidare a soggetti terzi (le “dark kitchen per l’appunto) la gestione delle consegne a domicilio.

Non solo l’aspetto organizzativo, muta anche quello relativo al marketing e alla promozione. I volantini lasciano il posto agli annunci sponsorizzati su Facebook o Instagram. Con il giusto storytelling e le corrette azioni di branding si possono ottenere risultati davvero straordinari.

La qualità del cibo ed il passaparola sono comunque le forme più potenti per la retention dei clienti, ma il digital è spesso il primo biglietto da visita per farsi conoscere dai nuovi.

E la strategia di Pescaria, in tal senso, dà i suoi frutti.

Con sempre più utenti che scelgono o prenotano il ristorante dopo un’accurata ricerca online, sono fondamentali il posizionamento sui motori di ricerca con la Local SEO e l’ottimizzazione di un profilo Google MyBusiness. Anche l’aspetto visual rappresenta un fattore di differenziazione rilevante. Secondo Googlele aziende che aggiungono foto alle proprie inserzioni ricevono il 42% in più di richieste di indicazioni stradali su Google Maps e il 35% in più di clic verso i loro siti Web rispetto alle aziende che non lo fanno.

E sempre maggiore importanza rivestono le recensioni dei social, Trip Advisor, Yelp, Google o TheFork. E i portali dei delivery stessi, fungono da vere e proprie vetrine per piccole o grandi attività.

Per sopravvivere d’altronde vale tutto, anche accettare gli ordini con Whatsapp, un chatbot, o commercializzare un sistema virtuoso di cene “prepagate” come LoveBond iniziò a fare durante il primo lockdown. E poi c’è sempre l’influencer marketing.

Benché l’Italia sia il paese più rappresentativo dello “slow living” e abbia una tradizione enogastronomica con una dimensione familiare e conviviale che potrebbe stridere con l’estetica del tutto e subito e a domicilio, la realtà dimostra che il popolo italiano invece accetta, per ovvie ragioni, ma sembra anche apprezzare questa nuova maniera di concepire il food.

Probabilmente una rivoluzione di questa portata non si sarebbe verificata in altri contesti diversi da quelli di una pandemia. E certo, quando tutto passerà, si tornerà alla normalità delle cene fuori e delle birre al pub. Ma il delivery, le dark kitchen e tutto il resto sono qui per restare.

E anche questa è innovazione.

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