Guardatevi intorno e ve ne renderete conto.
Marchi esistiti per anni con una propria personalità, vengono improvvisamente ritoccati e ridisegnati per adattarsi a quello che sembra essere ormai un look standardizzato e prefabbricato.
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I grandi del big-tech hanno inaugurato questo curioso trend già da qualche anno: quattro delle più grandi aziende tecnologiche del mondo — Google, Spotify, Pinterest ed Airbnb — hanno rinfrescato il loro brand utilizzando uno stile che sembra essere partorito dalla mente (e matita) dello stesso designer.
Pinterest si è liberata del corsivo e del vecchio logo è rimasta solo la P.
Spotify ha rimesso a posto la sua O.
Airbnb non è stata da meno, cambiando il suo colore da un blu cielo ad un rosa più tenue. E, volendo forse differenziarsi dagli altri, ha creato un font tutto suo. Ma comunque simile agli altri.
L’identità visual di Google è da sempre un work in progress: i colori sono diventati più decisi e le lettere meno goffrate. E pure Gmail ha fatto il lifting.
Forme e colori sono ancora riconoscibili, ma complessivamente il feeling è comunque lo stesso per tutti.
Questa tendenza è ancora più evidente nel fashion.
Una lunga lista di marchi di lusso — Burberry, Balenciaga, Celine, Calvin Klein, Diane Von Furstenberg, Saint Laurent, Rimowa, Balmain — hanno effettuato un pesantissimo restyling secondo analoghi canoni estetici, tanto da diventare ormai indistinguibili.
È un fenomeno che gli addetti ai lavori hanno soprannominato scherzosamente — ma non troppo — “blanding” — dall’inglese bland, insipido o banale — dove i sans serif compaiono costantemente e prendono il posto di quelli più classici, che vengono invece spediti in soffitta.
Le motivazioni reali dietro a questo fenomeno non sono chiare del tutto: un modo per discernere tra valore percepito della marca e quello intrinseco dei loro prodotti? Oppure dissociarsi dallo stile caratteristico di epoche storiche dove patriarcato, schiavismo e razzismo erano diffusi ed universalmente accettati? Forse rendere i loro tratti distintivi adattabili e leggibili in modo altrettanto fluido sia sullo schermo di uno smartphone che su un cartellone pubblicitario da sei piani? Il direttore creativo di Balenciaga Demna Gvasalia ha citato, come fonte di ispirazione per la rielaborazione del logo della casa nell’autunno del 2017, “la chiarezza tipica della segnaletica dei trasporti pubblici”.
O, semplicemente, si tratta del frutto di numerose indagini di mercato?
Non solo fashion e tecnologia. L’omologazione senza freni colpisce anche altri settori: soprattutto i più giovani brand DTC sembrano ritenere particolarmente efficace questa strategia.
Linee pulite, colori pastello e font semplici: questa è la direzione visiva utilizzata da diverse aziende che hanno progettato i loro prodotti idealmente già posizionati sulla grid di Instagram o sul feed di TikTok.
Si tratta di scelte ben precise: questi elementi di design molto simili tra loro sono comuni tra i marchi che si rivolgono soprattutto alla Gen Z, e che rappresentano il 40% della spesa dei consumatori.
Non sono scelte improvvisate, ma studiate a tavolino per apparire eye-catching e accattivanti agli occhi esigenti dei giovani utenti dei social.
Questa tendenza non risparmia nemmeno il web design. Grazie al data mining, uno sviluppatore ha analizzato più di 1000 domini, e quel che è emerso è che anche i siti web seguono gli stessi canoni estetici.
Che si tratti di questioni etiche, constraints imputabili alle nuove tecnologie, o semplicemente desiderio di ordine in mezzo ad un mondo sempre più caotico, la tendenza per il futuro prossimo sembra essere quella del “blanding”.
Ma allora perché si continua a parlare di differenziazione e posizionamento, come unici e reali vantaggi competitivi?