Ci vuole tanta pazienza


Ciao a tutti e tutte,

anche se è ponte, mando lo stesso la newsletter: ci sono 50% di probabilità che tu non la legga affatto, e 50% che invece abbia più tempo per godertela. Settimana prossima ti saprò dire.

Quando vedo la parola resilienza, oltre al pessimo tatuaggio di Gianluca Vacchi (no, non ho visto il suo docufilm su Prime), penso alla cazzimma necessaria a lanciare un progetto imprenditoriale o la propria carriera da freelance.

Io, ad esempio, la vivo male: se non vedo un esercito di clienti anelare i miei prodotti o servizi, tendo a bollare tutto come un fallimento. Immagino di non essere il solo a comportarsi così, tutto sommato fa parte della natura umana: dopo il tanto impegno profuso, è lecito demoralizzarsi se le cose non vanno nella giusta direzione.

Ma l’amara verità è che, salvo casi eclatanti, e oltre a una buona dose di grinta e perseveranza, ci vuole anche molta pazienza.

Non è un caso che la maggior parte degli imprenditori impieghi diversi anni e spesso più di 20 tentativi fallimentare prima che uno dei loro progetti inizi a generare introiti. Prendete la lista di quelli lanciati (e poi chiusi) da Brian Armstrong prima di trovare il successo con Coinbase. O i frullatori che dovette vendere Ray Croc prima di scoprire il business dei fratelli McDonald’s (e poi rubarglielo).

Le storie di quei successi apparentemente ottenuti dal giorno alla notte, che si leggono sul web, illudono, e motivano, ma più frequentemente nascondono diversi litri di sudore e tanta, tanta pazienza.

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Antonio

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