Content Curation come nuova arte e soluzione contro l’infobesity

Qualche giorno fa ho guardato The Social Dilemma, un nuovo documentario targato Netflix che parla dell’impatto che i social network hanno sulle nostre vite.

Tanti temi di discussione validi (guardalo, ne vale la pena), ma uno in particolare mi ha colpito più di altri. Quello legato ad una delle nostre risorse più importanti: l’attenzione.

L’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie avanzano ad un ritmo esponenziale, eppure il nostro cervello è più o meno lo stesso di 10.000 anni fa.

Per la prima volta nella storia, il bene più prezioso è rappresentato dalla nostra attenzione. Interi team di designer e developer studiano strategie, framework e software che possano plasmare il nostro comportamento e costringerci a fruire ancor di più di contenuti online.

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Non più solo una risorsa ma una vera e propria monetagli utenti pagano un servizio con la loro attenzione.

Tutto è ingegnerizzato per spingere gli utenti a spendere più tempo possibile su app e social network e gli sviluppatori sanno che i loro prodotti si contenderanno l’interesse degli utenti a colpi di banner, pop-up, caroselli e in-app video.

Prova a skippare una sponsorizzata su Youtube. O i Reels correlati che partono automaticamente su Instagram.

Siamo intrappolati nella prigione dei contenuti.

E questi contenuti aumentano incessantemente. Il mantra che si sente in azienda da qualche anno rimane: “creiamo contenuti”.

Hai idea di quanti ne vengono creati quotidianamente?

Contenuti creati al minuto (Statista, 2019)

La content curation in soccorso

Per fortuna esistono delle scorciatoie. In questo scenario di infobesity e di “FOMO”, la content curation si erge a soluzione adeguata per chi non vuole rinunciare alla propria sete di informazioni, ma con equilibrio.

Il nostro hard disk biologico riesce ad immagazzinare solo pochi giga-byte di tutto questo materiale audio e video.

Più andiamo avanti con gli anni e più questo drive naturale si assottiglia, si indebolisce, rallenta.

In un contesto dove aumentano le nozioni da assimilare, le competenze da aggiornare e le tendenze emergenti da analizzare, il content curator si sta trasformando in guida, spirituale e tecnica, e in un nuovo creator che ci suggerirà cosa leggere, studiare, guardare o ascoltare nel futuro prossimo.

Mario Gabriele del The Generalist, afferma:

“Stiamo tutti consumando più media, e c’è una crescente disponibilità a pagare per contenuti di alta qualità. E il nuovo creator è quello che seleziona questi contenuti, li distilla e li distribuisce agli altri”.

Questo tipo di selezione esiste da tempo, sopratutto in ambito giornalistico (FlipboardRefindListory). Ma ogni giorno nascono nuovi modi di farlo.

Le Playlist di Spotifysono un esempio di curation musicale. O Netflix di materiale cinematografico e serie tv. Il trend si sta estendendo poi al marketing con Zest o Curata, ai libri con GoodReads, allo shopping con CoolhuntingCanopy (che seleziona i più interessanti tra i prodotti Amazon, anche se Amazon stessa ha ora una sezione “Interesting Finds”) o Thieve (che fa lo stesso con AliExpress). Archilovers e’ diventato un punto di riferimento nel settore dell’arredamento, Uncrate o The List nel fashion e Thingtesting nella ricerca di brand emergenti. E più si verticalizza e più si soddisfano le esigenze degli utenti più esigenti (come questo archivio prodotti di design minimale).

La content curation però, può essere anche self-service. Sempre più app ci consentono di salvare, selezionare, leggere, rileggere i contenuti che più ci appassionano come EvernotePocketNotion (il mio preferito), RoamResearchInstapaper o Readermode. Con Curated puoi anche proporre ad altri utenti la tua personale selezione di contenuti.

Elon Musk sta cercando impiantare nel nostro cervello un vero e proprio computer con hard disk sotto forma di microchip (Neuralink) ma, fino a quando il suo ambizioso progetto non vedrà la luce, le note-taking app saranno sufficienti a tenere traccia di tutti i contenuti che ci vengono mitragliati addosso quotidianamente.

  • Martedi si è tenuto il keynote Apple. Apple One a parte, nulla di particolarmente eccitante o rivoluzionario.
  • Instagram sta testando le storie che durano 3 giorni anzichè 24h [MattNavarra]
  • Instagram non ha intenzione di introdurre l’inserimento di link nelle caption, nemmeno a pagamento [TheVerge]
  • Anche Youtube lancia la sua TikTok (Youtube Shorts — per ora in fase di test solo in India). Ce n’era proprio bisogno? [YoutubeBlog]
  • Il CEO di Netflix, Reed Hastings, non sembra amare particolarmente il remote working [GQ]
  • Un nuovo progetto Facebook dedicato agli studenti dei college chiamato con una notevole fantasia “Campus” [TheVerge]
  • TikTok (la cui divisione ops USA è vicina ad essere ceduta ad Oracle) rivela nuovi dettagli sul suo algoritmo di scoperta dei contenuti [SocialMediaToday]
  • L’aggiornamento iOS14 di Apple potrebbe creare non pochi grattacapi a chi fa advertising. Ma forse non tutto è perduto.. [SearchEngineLand]
  • Per ridurre il suo impatto ambientale, Reebok ha lanciato First Pitch: un’esperienza digitale che permette ai clienti di decidere se produrre o meno un determinato tipo di scarpe. Potrebbe presto essere imitata da altri brand? [Reebok]
  • 17 modi per trovare nuovi contenuti per i tuoi canali comunicativi [Backlinko] e 17 esempi di Funnel che puoi utilizzare da subito nella tua strategia [Autogrow].
  • 12 app che miglioreranno la tua UX [UXCollective]
  • Interessante analisi sull’SMS Marketing e su come potrebbe rivelarsi ancora piu efficace dell’email [CampaignMonitor] e se vuoi approfondire c’è anche questa certificazione.
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