Nel 1999 c’erano solo 23 blog in tutto il web. Dopo alcuni anni divennero milioni e la loro influenza ricevette un nome ben preciso: blogosfera.
Dai primi warblog (o milblog), scritti da militari americani per portare l’opinione pubblica dalla loro parte e difendere l’intervento in Afghanistan, a quelli che milioni di persone scrivevano per diffondere idee e conoscenze in più lingue ed in tutto il globo. Cultura, scienza, tecnologia, politica ma anche sport, fai da te, cucina, collezionismo. Davvero qualsiasi argomento poteva essere oggetto di un blog.
La nascita dei blog è stata quindi una rivoluzione tecnologica, certo, ma anche storica.
Beppe Grillo, ha sfruttato la popolarità del suo per creare e promuovere un partito politico e Chiara Ferragni con The Blonde Salad ha raggiunto lo stardom mondiale, raccontando la sua vita privata ed il suo amore per il fashion.
Grazie ai blog, per la prima volta, sono stati gli individui – e non i media – a dominare la narrativa online. I giornali credevano ancora quasi esclusivamente nella carta stampata, trascurando l’importanza del digitale, lasciando così un vuoto che i blogger hanno saputo colmare fino a diventare, in alcuni casi, loro competitor.
Arriviamo ai giorni nostri.
I social network e Youtube ne hanno ridotto sensibilmente la visibilità, e la figura del blogger viene quasi spazzata via da quella dell’influencer o creator.
Almeno fino al 2017, anno di nascita di Substack.
Volendo semplificare più possibile: Substack è una piattaforma che consente a tutti di pubblicare una newsletter ed inviarla ai propri iscritti. Soluzioni come Tinyletter (che chiuderà per sempre a Febbraio), Mailchimp o molte altre fanno lo stesso ma con una differenza sostanziale: Substack è stata la prima ad aver dato la possibilità agli autori di farsi pagare per i loro contenuti, fornendo loro il pieno controllo sull’elenco di iscritti e molti strumenti fino ad allora riservati solo a giornalisti e organi di stampa.
Le pubblicazioni più famose presenti su Substack riguardano politica, tecnologia, economia, cultura, musica e cinema ma vanno forte anche letteratura, gaming, viaggi e fumetti. Il resto degli argomenti trattati è molto frammentato e non troveremo una tale distribuzione in nessun quotidiano, programma radiofonico o televisivo, ma proprio questa frammentazione è la sua forza. Anche perché quelli che scrivono non sono giornalisti o scrittori, o almeno non tutti.
La maggior parte di chi pubblica su Substack è un autore non professionista che non si guadagna la pagnotta scrivendo. Alcuni pochi eletti invece vivono (e bene) della propria newsletter. Una buona percentuale di questi sono professionisti che vogliono integrare il proprio reddito, promuoversi con essa o sfruttare un canale alternativo con cui raccontare cose che sui media tradizionali non possono o non vogliono pubblicare.
Ma qual è il segreto del successo di Substack? E perché è il posto giusto per chi scrive o crea contenuti online, oggi?
La scrittura online ha attraversato molte fasi: prima è arrivata la democratizzazione dell’editoria grazie al cosiddetto giornalismo partecipativo (o citizen journalism) i cui effetti sono ancora vivi. I media tradizionali non avevano più il monopolio. Successivamente i social hanno offerto la possibilità che i blog si aprissero a micro-nicchie e micro-contenuti dando la possibilità di diventare virali e raggiungere un pubblico molto più vasto. In questo percorso si sono succedute varie piattaforme che, come Medium, Wattpad, Blogger o WordPress, cercavano di semplificare la pubblicazione per chiunque ne avesse la necessità.
Ma tutte queste soluzioni avevano alcune lacune.
WordPress (nella sua versione hosted) è un circuito chiuso, che non consente l’invio ed il controllo di email. Medium iniziò proponendo dei sistemi per far pagare gli autori in base al numero di lettori, ma non era possibile avere controllo sulla lista degli iscritti, cosa che Substack invece fa di default. Sempre Medium o Wattpad, offrivano letture consigliate, ma non controllavano quali, Substack invece ha risolto questo problema con le raccomandazioni personalizzate in base ai gusti dell’utente. Un algoritmo mutuato da quello dei social e una novità importantissima per tutti gli scrittori.
Chi scrive sa bene che crescere è difficile se non hai una fanbase che ti porti dall’esterno e che la discoverability delle newsletter non è delle migliori.
Hamish McKenzie, founder di Substack, nel rispondere alla riflessione di Matt Karolian secondo cui potremmo prestissimo entrare in un inverno delle newsletter, afferma che la ragione principale deriva dalle modalità di accesso alle informazioni per questo mezzo di comunicazione. In parole povere, gran parte delle newsletter arrivano direttamente nella casella di posta ma non vengono indicizzate dai motori di ricerca. Ma Substack non è solo una piattaforma per inviare email:
…when we started Substack, we weren’t really thinking about it as newsletters. We started off just calling them subscription publications for which email and the web were equally important, and inseparable, layers. We later switched to saying newsletters simply because that was easier for people to instantly understand. We figured that once they started using Substack they’d see it was much more than just a newsletter.
Insomma, sarebbe meglio chiamarle pubblicazioni, più che newsletter. Proprio perché sono anche indicizzate sui motori di ricerca.
Il segreto di Substack è stato quindi quello di aver saputo unire il meglio delle newsletter, dei blog e mutuare al contempo anche alcune leve dai social network. La sua forza è quindi quella di essere sia piattaforma di distribuzione, che di lead generation permettendo di far crescere la propria audience in modo organico: il suo sistema interno di raccomandazione è in grado di generare nuove iscrizioni (una novità per le newsletter, come i blogroll o webring di una volta).
Forse uno dei primi in Italia ad aver dato fiducia a Substack è stato Pietro Minto, giornalista e scrittore, con la sua newsletter
Link Molto Belli che è attiva dal 2014 e conta oltre 16.000 iscritti che ricevono ogni settimana una carrellata di articoli e link strepitosi.
Inevitabile quindi chiedergli un paio di cose su newsletter, editoria ma non solo.
Qual è stata la tua esperienza nel creare una newsletter, quali consigli daresti a chi desidera avviarne una e qual è la tua previsione sulle newsletter autoriali come mezzo di comunicazione nei prossimi anni?
LMB ha ormai nove anni, è nata in un momento in cui praticamente non c’erano newsletter in italiano. Ora il panorama è diverso, un po’ saturo forse, ma se una persona è presa bene, appassionata e ha individuato una nicchia, un’ossessione, un hobby o quello che è, lo spazio si trova. Il consiglio sarebbe quindi di essere specifici e precisi. E brevi, ma questa è una cosa mia.
Nel tuo libro “Come annoiarsi meglio” affronti il tema della noia e del tempo libero nell’era digitale. Come pensi che la tecnologia continuerà a influenzare il nostro rapporto con il tempo e come la noia possa influenzare la creatività e l’innovazione nel futuro prossimo?
Me lo sto chiedendo molto in questi mesi, con le IA generative e la prospettiva – per alcuni positiva! – di rendere la creatività un processo informatico. Non sono convinto che sarà così facile, quel che è certo è che le cose più medie/mediocri sono sempre più riproducibili con le IA, almeno in parte. Mi concentrerei sul resto, quindi.
Quali sono le sfide e le opportunità che vedi per scrittori e giornalisti nell’era digitale in costante evoluzione?
Credo che questo sia un momento di profonda transizione ed è quindi difficile, almeno per me, fare previsioni. Adesso è tutto TikTok, però non è detto che sarà così per sempre – o fra tre anni. Sicuramente uno scrittore oggi può anche fare contenuti video con facilità, ed è una bella possibilità; per chi (come me, peraltro) vorrebbe concentrarsi sulla parola scritta, forse è più difficile. L’unico modo di farcela è provare, sperimentare e fallire.
Hai scritto – e scrivi – di internet su internet, esplorando il suo impatto sulla società. Quali sono le principali sfide etiche che vedi emergere dall’evoluzione di tecnologie come l’IA e del tutto connesso?
La questione del copyright, innanzitutto, il fatto che alcune IA possano di fatto plagiare stili e scrittori diversi. C’è poi il fattore economico: generare contenuti con le IA potrebbe abbassare il valore dei contenuti in generale, che già oggi non è altissimo. È quindi necessario trovarsi, costruirsi, uno stile proprio, personale, un punto di vista o una credibilità personale: tutte cose che le IA non hanno. Ma ci vuole tempo.
Quali sono le tue fonti d’ispirazione principali e da dove provengono tutti i tuoi link molto belli? (se si può dire) 🙂
Non te lo dirò mai! (Un sacco di siti, blog e newsletter, il caro e vecchio www.)
Un altro decano delle newsletter è Rocco Rossitto che dal 2014 invia quotidianamente
Una cosa al giorno, ospitata anch’essa su Substack. Al lavoro di advisor e consulente freelance di comunicazione affianca interventi in convegni di settore, in corsi di formazione e in master universitari. Insegna Storia e Teoria dei Nuovi Media presso Abadir, Accademia di Design e Comunicazione Visiva a Catania. Nel 2023 ha pubblicato Perdersi in Rete. Guida pratica per persone curiose.
Ho voluto fare un paio di domande anche a lui.
Qual è stata la tua esperienza nel creare una newsletter longeva come “Una cosa al giorno” e quali consigli daresti a chi desidera avviarne una?
Come faccio a raccontarti quasi dieci anni in poche righe? Una cosa al giorno nasce ai primi di marzo del 2014 e la prima cosa la inviamo il 24 marzo 2014, che è la data ufficiale di nascita.
Allora non c’era un panorama così folto di newsletter, ma va detto che non era neanche qualcosa di futuristico, ovviamente. La newsletter ha questi cicli di popolarità, mettiamola così.
Nel 2014 era in una fase calante perché i social erano predominanti non tanto in termini di persone che li utilizzavano, quanto in termini di considerazione. Decisi allora di andare dove c’era meno attenzione e dove mi interessava rivolgere lo sguardo: dare la possibilità di ricevere una email del mattino con qualcosa che non ti aspetti. Stimolare piacere e curiosità in maniera casuale. La caratteristica di Una cosa al giorno, che nel tempo ha fatto piccolissime modifiche al suo essere, è quella di avere un titolo, una riga massimo due di testo e un bottone con scritto CLICCA. Nel 90% dei casi il tutto non ti fa capire cosa aprirai cliccando sul link. Comunque nel 2014 c’erano già molte newsletter in giro, ma non molte sono sopravvissute in questi anni.
Avere una newsletter quotidiana è una esperienza che ancora ora mi stimola molto, con tanti alti e bassi ovviamente, ma con una bilancia che pende a favore del piacere. Sono un po’ stanco, lo ammetto. Ma so anche che non ho nessun obbligo di farla perché devo, ma solo perché voglio.
E il giro di boa dei dieci anni mi ha accesso una serie di lampadine.
Sul consiglio da dare, ho una slide che uso sempre negli incontri, nei workshop, nelle lezioni, ed è questa: FARE PER CAPIRE E NON CAPIRE PER FARE. Se vuoi fare una newsletter non c’è niente da capire prima, la devi fare. Sì, puoi leggerti un po’ di consigli da chi ha dieci anni alle spalle, ma anche no. Io non ho letto nulla prima di fare Una cosa al giorno, Falla, fregatene dal mio punto di vista. Dico questo perché ogni “oggetto” di comunicazione non è replicabile, ci sono mille varianti. Non esistono formule, esistono tentativi.
Parlami di questa “serie di lampadine”, che succede per i 10 anni?
Allora, succederanno alcune cose, ma non anticipo nulla. Posso però dirti che una di queste è successa e si chiama Perdersi in Rete, Guida pratica per persone curiose. È un libro digitale che può essere scaricato gratuitamente.
È una raccolta di luoghi in rete raccontati: una guida a tutti gli effetti. Una sorta di the best of, ma dentro c’è una selezione super filtrata di link condivisi in questi anni e anche cose più recenti. Anche qui mi sono mosso in maniera un po’ sghemba: a chi può interessare un libro che segnala siti internet? Io ero convinto che poteva essere un oggetto interessante, sicuramente unico (non conosco altre guide per perderti in rete, o comunque guide che parlano di siti internet).
Beh devo dirti che sto avendo feedback molto positivi e questo mi fa molto piacere: il libro viene scaricato sia dagli iscritti, ma anche da persone che non seguono la newsletter. Che arrivano grazie a segnalazioni presenti sui social o in altre newsletter come avvenuto grazie a Valentina Aversano con la sua Posta Creativa, ad Andrea de Cesco con Questioni d’Orecchio , a Mafe de Baggis con la sua Koselig. Beh va detto che Mafe ha scritto anche una delle due introduzioni insieme a Simone Sbarbati, co-founder e direttore editoriale di FrizziFrizzi. Poi c’è la super copertina di Francesco Poroli che ha dato un bel vestito al libro. Altra cosa bella, connessa, è quella di essere stato ospite di Hacking Creativity con Federico Favot ed Edoardo Scognamiglio. Lì ho “smazzato” dieci link del libro, così se uno è curioso può capire meglio di che si parla.
Fammi dire un ultima cosa: il libro ha una versione cartacea in tiratura limitatissima, ma non c’è un modo preciso per averlo al momento, non al momento al meno.
Come dicevo, mi piacciono le cose sghembe, la via retta è per chi ha fretta!
E secondo te, quali sono le principali sfide delle newsletter nel lungo termine?
Sicuramente la costanza, di chi la fa e di chi la riceve. Io su Una cosa al giorno ho avuto e ho un ricambio enorme di iscrittə, ma ho anche uno zoccolo duro che è lì dagli inizi, poi ci sono persone arrivate in corso d’opera che restano, altre che si cancellano – per fortuna – nel giro di 3-4 giorni. Quindi il principale problema è avere la forza di continuare nel tempo, di prenderti delle pause se necessarie, di riprendere se hai voglia. Di chiudere un progetto se non si hanno più stimoli. Sempre nel 2014, ad esempio, avevo messo su una newsletter settimanale verticale sul food che si chiama Salsetta.
Abbiamo fatto 100 numeri e poi l’abbiamo chiusa. Aveva anche un bel numero di iscritti, ma non avevamo più stimoli. Così vale per chi è iscritto: non seguire una newsletter che non ti piace più. Cancellati, dai un segnale, scrivi una email. Ecco la newsletter è un corpo vivo: ti entra dritto nella casella di posta, c’è un rapporto di prossimità importante. Quindi la sfida più grande è mantenere vivo questo rapporto nel tempo. È accettare che qualche numero sarà meno bello degli altri, meno utile, meno qualcosa. Altri che funzioneranno meglio. Va accettato sia da parte di chi scrive sia da parte di chi legge
Quali sono le principali sfide etiche che vedi emergere dall’evoluzione di tecnologie come l’IA e del tutto connesso?
Io penso che il problema più grande rispetto all’evoluzione delle tecnologie è che ci siano gli umani dietro. È una battuta certo, ma è anche una verità. Non possiamo sapere se “le macchine” da sole diventeranno più cattive degli umani. È probabile che “una macchina” diventi molto cattiva per volere umano. Per tutto il resto, ne parliamo tra dieci anni.
Quali sono le tue fonti d’ispirazione principali e da dove provengono tutti i tuoi link che finiscono nella newsletter (se si può dire)?
Sorrido perché spesso capita di parlarne e qualcuno pensa che io abbia tutto super organizzato. No, ti dico il vero: ogni tentativo di organizzazione metodologica attivato negli anni è fallito miseramente.
Io vado, per citare la “Canzone Di Oggi” dei Marlene Kuntz, “a zig zag nel caos”. Questa è la pura verità perché cerco di variare tipologia di contenuto e cerco di condividere qualcosa che penso sia poco conosciuta o non ancora conosciuta, non sempre ci riesco, ma da li parto. Poi c’è una parte importante: molte segnalazioni arrivano dagli iscritti che spesso e volentieri mandano link strepitosi. Quindi è un po’ un caos lo ammetto, ma alla fine è solo Una cosa al giorno 😉