Jonathan Haidt, autore del libro “The Anxious Generation” sostiene che i bambini che ricevono uno smartphone in tenera età tenderanno ad avere una salute mentale peggiore da adulti e attribuisce ai social media un ruolo significativo nell’aumento delle malattie mentali tra gli adolescenti. Questa tesi viene ribadita in diverse sue newsletter, dove esplora le correlazioni tra l’adozione di dispositivi mobili e il sorgere di problemi di salute mentale.
Ma non tutti ancora concordano sulla reale causalità tra il tempo trascorso davanti agli schermi e le crisi di salute mentale tra i più giovani: lo psicologo Pete Etchells afferma come le attuali ricerche siano insufficienti e cita uno studio di Oxford che conclude come l’impatto degli schermi sul benessere sia, a tutti gli effetti, minimo.
Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ed esaminando entrambe le posizioni con gli occhi di un profano, trovo sensata l’argomentazione secondo cui la causalità tra l’uso del cellulare e i social media e i problemi di salute mentale non sia stata ancora provata del tutto. Ma è vero che l’assenza di prove definitive non implica anche l’assenza di effetti, e se consideriamo che il rischio è talmente alto che aspettare decenni di studi prima di trarre le prime considerazioni potrebbe rivelarsi azzardato (lo stato di New York sta già correndo ai ripari, infatti).
Per farla breve: è corretto limitare il tempo di utilizzo dei telefoni cellulari, ritardare l’esposizione ai social e promuovere quelle attività eseguite senza avere uno schermo davanti ma nemmeno demonizzare uno smartphone o un tablet tout court. Come si può intuire non è il mezzo in sé a rappresentare il problema, ma è quello che viene trasmesso su di esso a fare tutta la differenza del mondo.
Un altro fattore da analizzare con molta più attenzione credo sia invece la gestione della dopamina.
La dopamina è un neurotrasmettitore fondamentale nel sistema nervoso centrale, noto per il suo ruolo cruciale nella motivazione e nell’anticipazione della ricompensa. Quando si raggiunge un obiettivo o si completa un compito impegnativo, il cervello rilascia dopamina, generando una sensazione di piacere e gratificazione. Questo meccanismo serve come una sorta di rinforzo positivo, segnalando al cervello che l’azione svolta è stata corretta e meritevole di ripetizione. Diverse esperienze piacevoli, come il sesso, il consumo di cibo e i videogame stimolano il rilascio di dopamina, incentivando così il desiderio di ripetere tali attività. E pure i tanti cartoni animati o le challenge dei Me Contro Te rappresentano delle scariche di dopamina per i più piccoli.
Come possiamo limitare i processi dopaminergici nei bambini se noi per primi ne siamo succubi?
Siamo mossi dalla dopamina costantemente, e la maggior parte delle volte nemmeno ce ne accorgiamo: la nostra capacità di aspirare a nuovi obiettivi è legata alla nostra continua capacità di adattamento. Questo fenomeno, noto come tapis roulant edonico o adattamento edonico, descrive la nostra straordinaria abilità di acclimatarci sia ad eventi positivi che a quelli negativi, raggiungendo un livello di soddisfazione di base dopo esperienze oggettivamente piacevoli o spiacevoli. L’adattamento edonico spiega perché l’entusiasmo derivante dall’acquisto di una nuova auto o dell’ultimo smartphone può sembrare intenso per alcune settimane, per poi diminuire gradualmente, finché non percepiamo il bisogno di qualcosa di nuovo per rivivere quella sensazione di euforia.
Bene, questo processo è in parte enfatizzato proprio dalla dopamina, il neurotrasmettitore responsabile dell’euforia iniziale che sperimentiamo. Tuttavia, man mano che ci adattiamo, i livelli diminuiscono, riducendo la sensazione di piacere e spingendoci a cercare nuove fonti di gratificazione.
Chi sviluppa app, software o crea contenuti lo sa benissimo, e lo sfrutta a suo vantaggio (ma non al tuo).
Attention is the new currency.
Inevitabile che il fenomeno si riverberi anche nel modo in cui i contenuti vengono consumati quotidianamente online, guidato dall’aumento dei livelli di dopamina negli utenti finali.
Ted Gioia ha analizzato magistralmente questo trend e lo ha definito “Dopamine Culture”, evidenziando come stia trasformando le modalità di fruizione dei contenuti e sottolineando come ormai siamo tutti partecipanti inconsapevoli di uno dei più vasti esperimenti di ingegneria sociale della storia.
Non guardiamo più film o TV ma preferiamo i TikTok, le partite di calcio ci annoiano e ci accontentiamo ormai solo degli highlights, cercare l’anima gemella passa attraverso uno swipe su Tinder e la scarica di dopamina dopo un potenziale match è forse più gratificante della frequentazione stessa.
Insomma, ci siamo trasformati in vampiri assetati di notifiche. E rimuovere le spunte rosse dal cellulare è solo un palliativo.
Fortunatamente, alcuni campanelli d’allarme sono iniziati a risuonare da più parti e l’idea unanime è che il mondo digitale sia rotto e vada riparato, e che dovremmo salvare internet, prima di salvare noi stessi. E la tecnologia attuale si concentra troppo sulla generazione di capitale, piuttosto che sul miglioramento effettivo della qualità della vita delle persone.
In Silicon Valley si stanno facendo spazio i guru dei digiuni da dopamina e una giornalista ha documentato la sua esperienza di digiuno dalla dopamina, avvertendo addirittura di consultare un medico prima di intraprendere tali pratiche.
Curioso osservare come l’auto-conservazione debba quasi sempre passare da una fase di autodistruzione. Passare intere giornate sul cellulare consumando contenuti online non è sostenibile e, a lungo termine, potrebbe avere effetti negativi sulla salute.
La cosa più difficile è disintossicarsi e farlo comprendere a chi ancora non ha i mezzi per comprendere le conseguenze nefaste che questo atteggiamento potrebbe arrecare in futuro.
È un nostro dovere.