Un tempo, solidità e crescita di un brand erano associate alla sua resilienza, ovvero alla capacità di resistere nel tempo agli agenti esterni, e alla capacità di pensare long term. Non è un caso che i più virtuosi siano sempre stati quelli con una lunga storia decennale alle spalle, in settori consumer ma anche luxury.
Successivamente è arrivato il momento dei marchi che ragionavano different, come Nike e Apple, ma che hanno comunque impiegato del tempo per imporre le proprie idee, i loro prodotti e per fidelizzare i clienti fino a diventare top of mind dei rispettivi settori.
Ora, per i brand DTC, tutto è molto più veloce se si hanno le carte in regola.
Se prima le due forze trainanti della creazione di un brand erano orientate verso il prodotto o verso il mercato, ora se n’è aggiunta una terza. Quella orientata verso l’audience.
In questo caso, prima si crea un pubblico, poi si definisce un brand e successivamente si vendono prodotti. Ed è per questo che dietro questo tipo di business c’è – quasi – sempre un creator. Questo modello consente di sfruttare la grande visibilità sui social, la creazione di contenuti mirati alla vendita e la possibilità di lanciare prodotti in diverse categorie senza compromettere il brand principale. Si pensi al fast food di Mr Beast, al drink di Logan Paul, ai make up di Rihanna, ai panini di Donato con Mollica o senza, alle cover per cellulari di New Martina o a BOEM, la bevanda gassata nata dal concept dell’istrionico Federico Maria Lucia, aka Fedez.
Ma non sempre c’è un creator dietro questa tipologia di brand. In alcuni casi è il brand stesso che diventa contestualmente content creator e prodotto.
Ne è un esempio Liquid Death, l’acqua in lattina che ha basato tutta la sua comunicazione sull’ironia e sul suo tono di voce dissacrante e provocatorio. È molto apprezzata da sportivi, skater, attori, salutisti ed ambientalisti (perché usano lattine e non plastica) e dai giovani, conta oltre 8 milioni di follower sui social network ed ha un valore di circa 1,4 miliardi di dollari.
Pur essendo sul mercato da diversi mesi, è stato l’ultimo videoclip di Eminem, con un furbo product placement, a farmi ragionare su questa newsletter. E sapevo che sarebbe stato facile parlarne, perché da un punto di vista comunicativo fanno quasi tutto alla perfezione.
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Liquid Death vende acqua imbottigliata, da sempre considerato un prodotto difficile, con linee di distribuzione controllate dalle grandi GDO, dai costi di trasporto spropositati che rendono complessa una strategia DTC redditizia e reputato dai più come il più grande scam del secolo. Le idee del founder Mike Cessario (ex-Netflix), gli investimenti del solito fondo VC, i canali di distribuzione indipendenti e un branding sfrontato hanno contribuito a creare un qualcosa di mai visto prima, in un mercato stagnante come quello dell’acqua in bottiglia.
In un certo senso, possiamo considerare Liquid Death come un marchio di intrattenimento che commercializza acqua in lattina, per quanto è forte e stand alone la loro comunicazione.
E la loro strategia è fare l’opposto della concorrenza: il loro mantra è “Murder Your Thirst“. Si fa fatica ad immaginare Danone o Nestlè osare chiamare così una delle loro linee. Diversamente dagli altri, non basano la narrativa sul sapore, sulla mineralità, sull’origine controllata, sul ghiacciaio di provenienza o sul pH. Non c’è spazio per le filosofie healthy e cool della Perrier. In Liquid Death tutto è ruvido, punk e chiassoso. D’altronde, la loro concorrenza non è fatta da altre aziende simili, ma dal resto dei contenuti che competono per attirare l’attenzione dei suoi potenziali consumer. E ciò può essere ottenuto esclusivamente con uno storytelling differente da tutti gli altri.
In un’intervista, Cessario ha dichiarato di aver ricevuto spesso complimenti per l’audacia del suo tone of voice, rispondendo che in realtà è piuttosto conservatore se paragonato a quello di alcuni show di stand-up comedy su Netflix, contenuti che il loro target ama guardare.
Probabilmente la visione a lungo termine è quella di trasformarla nella Red Bull dell’acqua, mirando a unire intrattenimento e beni di consumo, sostenendo e promuovendo artisti e creator indipendenti, ampliando il marchio oltre la semplice vendita di acqua e diventare una piattaforma culturale a 360 gradi con dietro una forte community (c’è già un subreddit di fans esagitati che postano foto dei loro frigoriferi pieni di lattine sulle quali campeggia l’inconfondibile logo metal).
E se la nascita di imitazioni è indice di popolarità, allora è evidente come stiano lavorando con successo:
C’è molto da imparare da come Liquid Death gestisce la sua comunicazione, ma per me la cosa più importante è la brutale onestà con cui forgiano il loro brand. Quando capisci che i consumatori iniziano ad odiare la pubblicità – o, peggio ancora, la ignorano – non puoi fare nulla di differente per farti notare. E nelle segrete stanze del marketing si dovrebbe accettare il fatto che nessuno pensa ai propri brand più di quanto non lo facciano loro, e che un reality check andrebbe fatto ogni tanto. Come dice Daniel Kahneman:
“Niente in questa vita è così importante come sembra quando ci pensi”.