Perché Bottega Veneta ha abbandonato tutti i social?

In American Gangster, c’è una scena in cui uno degli scagnozzi di Frank Lucas (Denzel Washington, aka uno dei miei attori preferiti), in preda a deliri di onnipotenza finisce col diventare troppo appariscente ed infastidire gli ospiti di un party privato. Frank quindi, gli si avvicina, e con fare minatorio gli dice:

“Il più chiassoso della stanza è il più debole nella stanza”.

Ecco, probabilmente questo è quello che deve aver pensato la direzione creativa di Bottega Veneta eliminando tutti i canali social all’inizio di quest’anno: se il più chiassoso della stanza è il più debole, è plausibile che sia vero anche il contrario. E chi meno chiassoso può essere, di chi in quella stanza — i social, in questo caso — non c’è più?

Questa potrebbe essere una chiave di lettura. Ma cosa avrebbe spinto realmente la maison vicentina a compiere un passo così disruptive?

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L’account Instagram del brand, che vantava 2,5 milioni di follower, è stato completamente eliminato. Lo stesso dicasi per l’account Twitter. La pagina Facebook ufficiale rimane ancora online, ma tutti i contenuti, compresi video, foto e post, sono stati rimossi. È sopravvissuta solo la foto del profilo. Certo, ci sono già account di rimpiazzo, più o meno legittimi, ma il brand è in pratica scomparso dal web dove la sua presenza resta limitata al solo sito istituzionale.

I like ed i follower non sono mai stati un parametro di misurazione di vendite e flussi di cassa, quanto piuttosto di successo e desiderabilità. Ma è anche vero che, in un’epoca in cui i social media diventano sempre più una questione delle masse, il valore del lusso sarà ricercato maggiormente nell’interazione umana, e non in quella digitale. Vale la pena citare l’articolo del New York Times, pubblicato nel 2019, ben prima della pandemia:

“Screens used to be for the elite. Now avoiding them is a status symbol.”

Più sei ricco, più spendi per stare fuori dallo schermo degli smartphone. La spiegazione è semplice: il lusso, nella sua concezione più genuina, è generato dalla differenziazione attraverso simboli, codici e linguaggi che forniscono la sensazione di esclusività e scarsità. In altre parole: è lusso ciò che è per pochi e che pochi conoscono.

Come ben sa questo particolare pubblico, l’hype non è tanto mostrare, ma essere notati da coloro i quali sono interessati e conoscono il valore di questi codici. La Maison Goyard è l’esempio cristallino di come essere elusivi e discreti porti con sé — unitamente alla qualità dei prodotti, certo — uno status elitario ed esclusivo: non fa pubblicità, dal loro headquarter vengono rilasciate interviste col contagocce e non sono amanti di self proclaimed ambassadors e influencer.

In una rara intervista ad Hypebeast, una frase mi ha colpito su tutte:

“As a rule, Goyard does not care at all about adapting to the times. Quite the contrary: it strives to be timeless.”

Eppure, loro continuano ad avere ancora una forte presenza social.

Per quanto l’assenza digitale del marchio italiano sia temporanea — non è ancora noto se si tratti di una strategia a lungo termine — quello che si percepisce è che la loro concezione di brand va ben oltre quel che accade online.

La considerazione in merito del direttore creativo di Bottega Veneta, Daniel Lee (che, per inciso, non ha alcun profilo) è esplicativa:

I look at Instagram and social media sometimes, but I think too much can be quite dangerous and detrimental to the creative process. Everyone seeing the same thing is not healthy or productive. It doesn’t breed individuality.

Svincolarsi dal rumore di fondo per non perdere creatività e individualità: altra possibile chiave di lettura. Tuttavia, la scelta di restare fuori dal coro ha origini più lontane. La discrezione è infatti parte integrante del codice stilistico della maison. Ostentazione fine a se stessa e sfoggio obbligato del logo non le sono mai appartenuti sin dai primi anni ‘70.

È infatti una delle poche aziende fashion che non ama fregiare, con il proprio marchio, l’esterno delle proprie creazioni.

Su alcuni prodotti viene impressa una V con cuciture o impunture ad hoc, mentre il segno distintivo per eccellenza resta la pelle intrecciata delle sue borse.

Quindi tanto clamore tra gli addetti ai lavori, ma guardando la storia recente, scopriamo che la scelta di Lee & co. non è certo pioniera: anche quelli di Lush avevano abbandonato i social — anche se per motivi differenti — salvo poi tornare sui propri passi. E pure Unicredit fece lo stesso — ufficialmente per questioni etiche — dopo lo scandalo legato a Cambridge Analytica.

C’è poi la dittatura dell’influencer marketing: il tema dei fake ambassador è ancora centrale e potrebbe essere una delle ragioni di questo allontanamento.

In attesa di capire se si tratti solo di un elaborata strategia di marketing o di un duro attacco da parte di qualche hacker (improbabile), ho motivo di credere che il celebre motto della maison racchiuda alla perfezione la sua filosofia ed il motivo che si cela dietro la decisione di rimuovere ogni presenza social:

“When Your Own Initials Are Enough’’.

🌾 Nella newsletter Technicismi di Riccardo Bassetto ho scoperto che negli ultimi anni sono nate tantissime aziende che si occupano di coltivazione di piante e verdure in verticale (in Danimarca la settimana scorsa è stato realizzato il primo raccolto del più grande “vertical farm” d’Europa). Negli USA va forte Vertical Field, una startup che realizza dei container pronti alla semina che possono essere “installati” nel retro di un ristorante (o di un supermercato) per crescere verdure letteralmente a chilometro zero.

🇮🇹 Quando i luoghi d’infanzia tornano a essere casa. Storie di chi è rimasto in south working dopo il lockdown.

🇦🇺 Google ha riferito che se la nuova legge australiana sui media dovesse essere approvata bloccherà il suo motore di ricerca nel paese. Se la legge passerà i suoi 19 milioni di utenti australiani potrebbero avere grosse difficoltà sia ad usare il motore di ricerca che a navigare su YouTube.

📥 Revue, la piattaforma di publishing per newsletter olandese, viene acquisita da Twitter e lancia un nuovo pricing che strizza l’occhio agli utenti del competitor Substack.

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